Mentre lo guardo, mi rendo conto di due cose.

Uno: non riuscirò mai a fare le stesse cose con nessun altro.

Due: sono spacciata.

Un dio della morte.

Ora lo capisco, il suo soprannome, il motivo per cui lo chiamano Morte. Non è per il suo modo di giocare o altro. È per il modo in cui finisce le vite senza far rumore.

È discreto, ma spietato.

Sembra amabile, ma, in realtà, è prepotente.

Morte.

E, ora, sta dando la caccia a me. Sono il suo prossimo obiettivo e, per qualche ragione, temo che non mi lascerà mai andare e che non finirà mai di tormentarmi.

Gli ho promesso che si sarebbe pentito e dicevo sul serio.
Più tenta di domarmi, più mi oppongo.
Più mi soffoca, più cerco aria.
Questa volta, sarà lui a soffrire, non io.

Gli occhi grigi, che solo qualche secondo prima trovavo bellissimi, mi trafiggono fin nell’anima con intento omicida. L’ombra scura sul suo volto mi terrorizza molto più delle sue dita intorno alla gola.
Con l’altra mano mi afferra il mento e, al pensiero che voglia spezzarmi il collo, mi tremano le labbra.
«C-che cosa stai facendo?»
Si china verso di me, con la bocca a pochi centimetri dalla mia. «Ti distruggerò» ringhia.
Con queste parole, segna il mio destino.